SENTENZA CIVILE - NOTIFICA TELEMATICA - TERMINI - Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 16-08-2018, n. 20747

SENTENZA CIVILE - NOTIFICA TELEMATICA - TERMINI - Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 16-08-2018, n. 20747

La notificazione telematica della sentenza, mediante copia priva della regolare attestazione di conformità all'originale, ma la cui relata contenga l'indicazione della data di pubblicazione e l'attestazione che la stessa, originariamente, recava firma digitale, è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, salvo che il destinatario deduca e dimostri che tale irregolarità abbia arrecato un pregiudizio alla conoscenza dell'atto e al concreto esercizio del diritto di difesa. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto insussistente il vizio sebbene nella prima parte della relata la sentenza fosse stata indicata come notificata in forma cartacea e, in seguito, come atto sottoscritto digitalmente).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Presidente -

Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere -

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere -

Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere -

Dott. BELLE’ Roberto - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22793/2016 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE N. 87, presso lo studio degli avvocati PIERPAOLO LUCCHESE, GIOVANNI SALONIA, rappresentato e difeso dall'avvocato GIOVANNI SALONIA, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

STANHOME S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 281, presso lo studio dell'avvocato ANDREA PATRIZI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 9211/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 11/04/2016 R.G.N. 3864/2014.

Svolgimento del processo

che:

la Corte d'Appello di Roma, con sentenza n. 9211/2015, confermando la pronuncia del Tribunale della stessa sede, ha respinto l'impugnativa del licenziamento intimato da Stanhome s.p.a. nei riguardi di G.R., dipendente di livello quadro della medesima società, con mansioni di responsabile dell'ufficio paghe, per non avere dato corso, tra il 2008 ed il 2012, ai recuperi, per un debito finale residuo di circa 44 mila Euro, delle 18 anticipazioni di retribuzione da esso stesso ricevute, di nove delle quali non risultavano neppure le richieste ed in parte inerenti ad anticipi r.o.l. e ferie non autorizzati;

secondo la Corte, anche a voler ritenere applicabile la normativa interna del 2010 propugnata dal G., la medesima prevedeva che il contabile finanziario ed il responsabile stipendi, cioè lo stesso G., dovessero accertare gli storni degli anticipi ricevuti dai dipendenti e ciò nei mesi successivi al versamento effettuato al dipendente;

si era determinato, aggiungeva la Corte, un debito di circa 44 mila Euro, di cui non era stato poi curato il recupero in tempi contenuti e ragionevoli, se non nella minima parte di circa il 10% del totale;

era poi da ritenere infondata l'eccezione di incapacità a deporre sollevata con riferimento a tre colleghi del G., alla cui eventuale corresponsabilità nell'illecito non si riconnetteva alcun interesse rispetto alla vittoria in causa della società;

le stesse dichiarazioni rese dal G. al responsabile del personale avrebbero attestato, secondo la Corte, l'accaduto, mentre l'assenza di taluni dei documenti autorizzatori non poteva scagionarlo, in quanto egli stesso ne avrebbe dovuto essere tenutario, senza contare che in almeno tre casi le erogazioni riguardavano r.o.l. liquidati in anticipo senza la dizione del trattarsi di acconti o anticipazioni e quindi certamente senza autorizzazione preventiva;

l'avere affermato inoltre il G., al fine di scagionare i colleghi, di avere agito di propria iniziativa, rendeva palese la sua responsabilità, non ridotta dal fatto che in ipotesi egli avesse ottenuto la complicità o avesse coartato taluno per perpetrare l'illecito;

secondo la Corte distrettuale l'accumulo di un notevole debito, in parte non autorizzato, poi restituito in minima porzione, e l'aver fornito risposte false ad un superiore in merito agli anomali andamenti delle anticipazioni degli stipendi al personale, attestavano una responsabilità da ritenersi grave, tenuto conto dell'elevato livello e delle mansioni di controllo di cui il G. era incaricato; era infine infondata, si precisa ancora nella sentenza, l'eccezione di tardività della contestazione in quanto essa aveva seguito immediatamente le rivelazioni provenienti dal collega D.G., mentre irrilevante era il fatto che da alcuni mesi il Direttore finanziario fosse a conoscenza di un'inusuale passività della voce contabile relativa agli anticipi ai dipendenti, perchè nulla lasciava trapelare le irregolarità commesse dal G., che anzi aveva reso, come detto, false informazioni in proposito;

avverso tale sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, cui ha resistito Stanhome.

Motivi della decisione

che:

con il primo motivo il ricorrente adduce la violazione dell'art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 115, 116 e 246 c.p.c., anche in relazione all'art. 111 Cost. e dell'art. 132 c.p.c., per essersi valorizzate le deposizioni di tre colleghi del G. nonostante, rispetto a due di essi, vi potessero essere corresponsabilità nell'illecito;

con il secondo motivo è affermata la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 2697 e 2702 c.c. e dell'art. 244 c.p.c., per erronea valutazione delle prove testimoniali e documentali;

con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., per erronea ed incompleta valutazione della proporzionalità della sanzione;

con il quarto motivo si sostiene che la Corte non avrebbe correttamente motivato sulla questione della tempestività della contestazione, omettendo "completamente di rispondere puntualmente alle doglianze mosse dal ricorrente nell'atto di appello" e ciò in contrasto con il disposto della L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c., nonchè dell'art. 111 Cost. e dell'art. 132 c.p.c.;

con il quinto motivo si contesta la decisione della Corte territoriale con cui è stata ritenuta legittima la compensazione atecnica posta in essere da Stanhome nel proporre la domanda riconvenzionale, sostenendosi che semmai la compensazione, per non violare l'art. 1246 c.c. e art. 545 c.p.c., avrebbe dovuto essere attuata non oltre il quinto degli emolumenti spettanti al lavoratore;

la controricorrente ha sollevato eccezione di inammissibilità dell'impugnazione, per tardività di essa, in quanto proposta oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza della Corte d'Appello di Roma, nonchè per essere stato, il ricorso, sottoscritto da difensore non iscritto all'albo degli abilitati al patrocinio presso la Corte di Cassazione;

il primo profilo di inammissibilità così sollevato è fondato ed assorbente di ogni altra questione;

infatti, in data 21.7.2016, il difensore di Stanhome ha proceduto a notifica della sentenza di secondo grado in forma telematica ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53;

rispetto a tale eccezione, sollevata con il controricorso, il ricorrente ha svolto, nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, alcune difese;

tuttavia la predetta memoria, essendo stata depositata il 20.2.2018, è tardiva rispetto alla adunanza camerale del 27.2.2018, in quanto il deposito doveva avvenire almeno dieci giorni prima dell'adunanza stessa;

peraltro la decisione sulla tempestività dell'impugnazione impone comunque la verifica officiosa, nei limiti di cui infra, rispetto alla validità della notificazione della sentenza;

è da ritenersi osservato la L. n. 53 del 1994, art. 9, il quale prevede, qualora sia necessario procedere al deposito di copia cartacea di notificazione telematica, che "l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1" (L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis);

è stata infatti prodotta dalla controricorrente, in allegato alla produzione della copia della relativa ricevuta di avvenuta consegna, "asseverazione di conformità della copia cartacea", resa "ai sensi e per gli effetti della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis ed 1 ter e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-undecies, comma 1", recante sottoscrizione, in sè mai contestata, del difensore procedente;

tale asseverazione riguarda la conformità dell'atto (sentenza) notificato, con riferimento, per come espressamente indicato, alla copia della sentenza impugnata, alla relata di notifica di essa, nonchè al messaggio Pec di invio ed alle ricevute di accettazione e avvenuta consegna;

quanto alla regolarità dell'attestazione e con riferimento agli atti muniti di firma digitale (in questo caso le ricevute di accettazione e di consegna - v. D.P.R. n. 68 del 2005, art. 9 - nonchè la relata di notifica, mentre discorso a parte dovrà farsi per la sentenza), secondo il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, citato art. 23 comma 1, "le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato";

la predetta attestazione di conformità "in tutte le... componenti" dei documenti telematici va ritenuta sufficiente, almeno in ambito processuale, allorquando essa sia fatta con riferimento al contenuto testuale del documento cui essa si riferisce, con tutti gli elementi propri rispetto allo scopo (ad es.: data; indicazione della paternità) ed altresì, risultando impossibile la stampa analogica di una firma digitale, con riferimento al fatto in sè che nell'originale vi è firma digitale;

a ciò induce sia la considerazione dell'impossibilità della riproduzione o asseverazione cartacea degli innumerevoli contenuti informatici di un atto telematico, sicchè ogni più puntuale verifica non può che avvenire allorquando il controinteressato, affermando l'esistenza di un qualche specifico vizio nel documento a firma digitale, ne individui la portata e ne consenta l'approfondimento, sia il fatto che l'attività notificatoria si svolge attraverso l'operato del difensore procedente in veste di pubblico ufficiale (L. n. 53 del 1994, art. 6), sicchè può almeno presumersi, fino a specifica contestazione, la regolarità telematica del documento attestato;

tale interpretazione appare altresì coerente con il principio, già delineato da questa Corte rispetto al processo telematico, per cui non sussiste un diritto all'astratta regolarità del processo, non avendo rilevanza, in ipotesi, un mero vizio, rispetto al quale non siano prospettate anche le ragioni per le quali si sia determinata, per la parte, una lesione del diritto di difesa o si possa avere altro pregiudizio per la decisione finale (Cass. S.U., 18 aprile 2016, n. 7665);

nel caso di specie, rispetto ai predetti atti a firma digitale, l'attestazione di conformità fa riferimento al relativo testo ed all'esistenza delle firme digitali e ciò attraverso il riferimento agli allegati, nell'attestazione, come "firmati digitalmente";

l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione è stata sollevata con il controricorso (a propria volta notificato in data 11.11.2016 in forma telematica, attraverso atti asseverati con nota cartacea sempre ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis ed 1-ter), sicchè le eventuali deduzioni nei termini sopra evidenziati dovevano essere evidentemente contenute nella memoria difensiva ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, quale atto idoneo allo sviluppo del contraddittorio sui punti in esame;

nel caso di specie il destinatario ha, come detto, depositato tardivamente tale memoria e comunque essa non contiene allegazioni nei termini sopra precisati, facendo riferimento solo a possibili difetti dell'attestazione (rispetto alla mancata indicazione di formati, tipologia di firma digitale, stato di validità dell'eventuale certificato associato alla firma, eventuale esistenza di una marca temporale) la quale, per quanto sopra detto, è invece da ritenere sufficiente e non a specifici e reali vizi degli atti a firma digitale attestati;

l'invio e la ricezione, regolarmente asseverati, di Pec proveniente dall'indirizzo di posta elettronica del difensore procedente e diretta a quello di uno dei difensori in appello del G., avv. Pier Paolo Lucchese, fornisce poi certezza processuale della trasmissione del messaggio, da quel mittente a quel destinatario, nella data in esso indicata e del perfezionamento della relativa comunicazione (L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 3);

infatti, una volta acquisita al processo, in questo caso attraverso l'asseverazione, la prova della sussistenza della ricevuta telematica di avvenuta consegna, solo la concreta allegazione, da parte del destinatario, di una qualche disfunzionalità dei sistemi telematici potrebbe giustificare migliori verifiche sul piano informatico, con onere probatorio a carico del medesimo destinatario (Cass. 31 ottobre 2017 n. 15819; v. anche Cass. 22 dicembre 2016, n. 26773 e, per la precisazione che, in tale ambito, non vi è comunque necessità di querela di falso, Cass. 21 luglio 2016, n. 15035) e ciò in coerenza con i principi già operanti in tema di notificazioni secondo i sistemi tradizionali, ove a fronte di un'apparenza di regolarità della dinamica comunicatoria, spetta al destinatario promuovere le contestazioni necessarie ed eventualmente fornire la prova di esse (ex plurimis, v. Cass. 20 ottobre 2002, n. 18141; Cass. 20 luglio 1999, n. 7763);

nel caso di specie il destinatario ha, come detto, depositato tardivamente la memoria contenente le proprie difese in replica, ma soprattutto, sul punto, lo ha fatto limitandosi a negare che gli fosse mai pervenuta la Pec, il che è comunque insufficiente a mettere in dubbio la regolarità della trasmissione telematica, in sè considerata;

pertanto la notificazione si ha per regolarmente asseverata e per perfezionata nel momento in cui è indicato il verificarsi dell'avvenuta consegna digitale (cit. L. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 3, che individua a tal fine il "momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna") ovverosia in data 21.7.2016;

venendo ora alla sentenza, quale ulteriore ed ovviamente principale contenuto della notificazione, essa, in una prima parte della relata, è riferita come notificata non quale atto digitale, ma come atto cartaceo ("copia informatica per immagine, conforme all'originale cartaceo da cui è stata estratta", si legge nella relata) per quanto poi si attesti altresì il fatto che la sentenza notificata ed allegata era sottoscritta digitalmente e nell'asseverazione si faccia riferimento anche a tale allegato come firmato digitalmente;

la contraddittorietà di tali affermazioni, non risolvibile sulla base degli atti (pur essendo pacifico che, nella realtà giudiziale, la sentenza consiste in un atto originario telematico a firma digitale) impone di ragionare sull'unico presupposto certo, dato dal fatto che una notifica di sentenza vi è stata, con riferimento al testo quale riprodotto per l'asseverazione ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis ed 1 ter, mentre resta incerta la regolarità della attestazione di conformità all'originale;

in sostanza il caso, così ricostruito, si riporta a quello della notifica della sentenza avvenuta mediante una copia informe dell'originale, in quanto mancante di una regolare attestazione di conformità su tale specifico punto, ma contenente peraltro l'indicazione (nel corpo della relata, ma anche nel corpo del testo attestato) del fatto che l'atto giudiziale era originariamente a firma digitale ed altresì indicazione in ordine alla data di pubblicazione;

in giurisprudenza è reiterato l'assunto, cui si aderisce, secondo il quale, "stante il numerus clausus delle ipotesi di nullità della notificazione (...) finanche la notifica della sentenza fatta in copia non autenticata è idonea a far decorrere il termine breve dell'impugnazione" (Cass. 12 maggio 2014, n. 10224; Cass. 19 agosto 2004, n. 16137);

sulla scorta di analoghi principi, anche in caso di notifica incompleta della sentenza, perchè carente di alcune pagine, si è ripetutamente affermato che "al fine di escludere il decorso del termine breve d'impugnazione, la nullità della notificazione della sentenza (...), può essere affermata, in difetto di un'espressa comminatoria della nullità medesima, solo se il destinatario deduca e dimostri che detta incompletezza gli abbia precluso la compiuta conoscenza dell'atto e quindi inciso negativamente sul pieno esercizio della facoltà di impugnazione dello stesso" (Cass. 22 giugno 2012, n. 10488; Cass. 25 luglio 2003, n. 11528; Cass., S.U., 15 giugno 1989, n. 391);

del resto il requisito di conformità all'originale dell'atto da notificare non risale alla disciplina della L. n. 53 del 1994 e quindi all'ampia regola di nullità di cui all'art. 11 di essa, ma alla norma generale dell'art. 137 c.p.c., comma 2 (sostituito ovviamente l'ufficiale giudiziario con l'avvocato notificante), rispetto alla quale valgono i principi giurisprudenziali appena citati;

in definitiva, le irregolarità attinenti alla copia della sentenza notificata ai sensi dell'art. 285 c.p.c., in forma telematica, in tanto possono sfociare in nullità, inidonea a far decorrere il termine di cui all'art. 327 c.p.c., in quanto il destinatario deduca e dimostri il pregiudizio sulla conoscenza dell'atto e sul diritto di difesa;

anche in questo caso le difese rispetto alla copia (analogica) notificata della sentenza dovevano essere contenute nella memoria difensiva ex art. 380-bisl c.p.c., quale atto idoneo allo sviluppo del contraddittorio sui punti in esame (per analoga dinamica, v. Cass. 10488/20112 cit.);

tale memoria, oltre ad essere tardiva, non contiene comunque ed anche in questo caso alcuna specifica contestazione rispetto alla difformità dal vero del testo e delle indicazioni contenute nella sentenza notificata, quali riportate nell'asseverazione o rispetto al fatto che la copia come notificata abbia arrecato un pregiudizio, e quale, al diritto di difesa o di impugnazione;

pertanto la notifica della sentenza, perfezionatasi come detto il 21.7.2016, è da ritenere valida ed efficace al fine del decorso del termine breve di impugnazione; è del resto pacifico, fin dai primi anni della ormai risalente riforma, che "le controversie di lavoro ed in materia di assistenza e previdenza obbligatorie, sia prima che dopo l'entrata in vigore del nuovo rito di cui alla L. 11 agosto 1973, n. 533, non sono soggette, durante il periodo feriale, alla sospensione dei termini processuali (nella specie, con riguardo alla proposizione del ricorso per Cassazione), ai sensi della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3" (Cass. 8 gennaio 1977, n. 60), poi seguita, sempre con riferimento alle fasi impugnatorie di appello e cassazione, tra le molte, da Cass. 11 novembre 1998, n. 11389 e Cass. 8 aprile 2002, n. 5015;

pertanto, esclusa l'applicazione della sospensione feriale, la notifica del ricorso per cassazione iniziata ed ultimata il 7.10.2016 si colloca oltre i sessanta giorni di cui all'art. 325 c.p.c., comma 2, rispetto alla notifica della sentenza perfezionatasi come detto il 21.7.2016;

il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale, il 27 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2018


Avv. Francesco Botta

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